Gli investimenti in startup sono un fenomeno recente nel nostro Paese, ma in forte crescita. Grazie all’arrivo di strumenti finanziari innovativi, flessibili e facili da utilizzare come il crowdfunding, investire in startup è diventata un’operazione alla portata di tutti e di qualunque portafoglio.
Esistono diverse tipologie di crowdfunding: quello più utilizzato dalle startup è l’equity, regolato in Italia da una normativa di Consob. Tra i vari motivi per scegliere questa modalità c’è la possibilità di beneficiare di una detrazione fiscale pari al 50% della somma investita, cosa che rende l’operazione ancora più appetibile.
Ci sono inoltre differenti modi con cui si può monetizzare l’investimento, ad esempio nel caso in cui la società venga venduta a terzi (di solito grossi competitor o fondi di investimento).
Investire in startup con il crowdfunding rimane pur sempre un’operazione non esente da rischi: il modo migliore per ridurli è diversificare.
Il crowdfunding (dall’inglese “crowd”, folla e “funding”, finanziamento) è una forma di finanziamento collettivo realizzabile attraverso apposite piattaforme web che mettono in contatto imprese in cerca di capitale per accelerare la propria crescita e soggetti disposti a conferire il proprio denaro per sostenerla. Si tratta di una modalità di investimento che ha avuto un enorme successo negli ultimi anni, proprio perché è alla portata di tutti: si può infatti scegliere di ricorrere al crowdfunding anche senza bisogno di essere dei “geni della finanza” o di avere grossi portafogli.
Come abbiamo raccontato nel nostro recente articolo sui 5 elementi fondamentali per una campagna di successo, quando si parla di crowdfunding e startup ci si riferisce solitamente all’equity. Benché esistano quattro diverse tipologie di crowdfunding (donation, reward, lending e appunto equity), quest’ultima è infatti quella più diffusa tra le startup innovative in cerca di fondi per far decollare il proprio progetto.
A differenza del modello reward, dove il supporter ottiene in cambio del suo sostegno una ricompensa emozionale o materiale (di solito di valore inferiore a quello della donazione), investendo in una startup con l’equity crowdfunding l’aderente acquisisce titoli partecipativi al capitale dell’impresa e diventa quindi socio della stessa.
Sul tema startup ed equity crowdfunding l’Italia si può considerare all’avanguardia: il nostro è stato infatti il primo Paese europeo a dotarsi di una normativa dedicata, in grado di tutelare gli investitori. Il regolamento emesso da Consob nel giugno 2013, poi aggiornato nel gennaio 2018, consente alle piattaforme autorizzate (come Opstart) di pubblicare campagne di raccolta di capitale di tutte le società offerenti qualificate come Piccole e Medie Imprese.
Non solo startup, quindi: se inizialmente l’equity era riservato unicamente a startup e Pmi innovative, il nuovo regolamento di Consob ha aperto il mercato dei capitali a tutte le Piccole e Medie Imprese.
C’è un ulteriore motivo per scegliere di investire in startup e PMI innovative tramite equity crowdfunding, oltre alla praticità di questo strumento: la possibilità di beneficiare di importanti agevolazioni fiscali.
Il governo italiano ha infatti previsto, per chi sceglie tale tipologia di investimento, delle specifiche detrazioni: per le persone fisiche si parla di una detrazione dall’IRPEF pari al 50% della somma investita, fino a un massimo di 100.000€ all’anno (300.000€ se si tratta di PMI innovative). Oltre a questa soglia e per tutti coloro che investono come persone giuridiche, il beneficio fiscale è invece pari al 30% della somma investita.
Un investimento in startup tramite equity crowdfunding fa riferimento a un orizzonte temporale medio-lungo. Il ritorno dell’investimento non è quindi immediato, ma richiede un po’ di pazienza.
Tra le possibili exit strategy c’è innanzitutto la vendita della società a terzi. Si tratta solitamente di competitor più grandi o di grossi fondi di investimento che decidono di acquisire startup e PMI innovative dando agli investitori la possibilità di cedere le proprie quote (quasi sempre a un prezzo più alto di quello originario).
Un ritorno sull’investimento simile si può ottenere anche nel caso in cui la startup si quoti in borsa, permettendo agli investitori di cedere le proprie quote sul mercato.
Molto più a lungo termine è invece la terza tipologia di ritorno, data dalla distribuzione di dividendi: per le startup innovative vige infatti il divieto di distribuire gli utili per almeno 5 anni.
Infine, si può anche decidere di rivendere le quote a terzi, ma bisogna riuscire a trovare da soli gli acquirenti e concordare il prezzo, trattandosi di un capitale illiquido.
Nonostante la facilità di realizzazione e la possibilità concreta di ottenere ritorni anche molto cospicui, investire in startup con il crowdfunding rimane pur sempre un’operazione con un certo margine di rischio: la possibilità di perdere i propri soldi non può quindi essere esclusa. Ecco perché, prima di investire, è necessario assicurarsi di avere le capacità finanziare per fronteggiare un’eventuale perdita della somma versata.
Detto questo, esistono comunque alcuni accorgimenti seguendo i quali si può ridurre al minimo eventuali perdite. Tutti gli operatori del settore consigliano a tal proposito di diversificare il più possibile gli investimenti: invece di investire i propri soldi in un solo progetto, è più saggio selezionarne diversi. In altre parole, più sono le società di cui si diventa soci, più bassa è la probabilità di non rivedere più il proprio investimento iniziale.
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