Il crollo della Silicon Valley Bank nell’ultimo mese è stato uno dei principali temi di discussione in ambito finanziario dai giornali, ai notiziari radio, ai telegiornali e talk show in televisione. Dopo una prima reazione di incertezza generalizzata e qualche accenno di panico dei mercati e degli investitori, a un mese di distanza possiamo comprendere meglio cosa è successo e quali sono le conseguenze, sia quelle che si sono già manifestate, sia quelle previste dagli analisti per il prossimo futuro.
La Silicon Valley Bank è una banca fondata nel 1983 in California e specializzatasi in fretta nel settore tecnologico, legandosi a doppio filo a quello che è diventato il più grande polo tecnologico del mondo, la Silicon Valley, appunto.
La particolarità di questa banca consisteva proprio nel fatto che avesse come principali clienti le startup, soprattutto del mondo tech, che avevano conti correnti e prestiti attivi presso la SVB perché essa offriva servizi e condizioni pensati specificamente per aziende giovani, innovative, ad alto rischio e con elevate necessità di finanziamenti, che altre banche non avrebbero accolto altrettanto facilmente. Sappiamo, infatti, che gli istituti di credito tradizionali sono difficilmente accessibili alle startup e spesso anche alle PMI, perché l’attività di queste ultime è in fase iniziale e, di conseguenza, troppo rischiosa.
Negli ultimi dieci anni, i bassi tassi di interesse avevano favorito i finanziamenti alle startup, e molte di esse li avevano depositati su conti correnti presso la Silicon Valley Bank.
La “banca delle startup”, come a volte viene chiamata, in seguito alla rapida crescita appena descritta aveva investito una grande percentuale dei suoi depositi in titoli di Stato americani, prodotti comunemente considerati come l’investimento più sicuro possibile.
Per attenuare il continuo aumento dell’inflazione dell’ultimo anno, però, la FED ha stabilito un costante rialzo dei tassi, il quale a sua volta ha indotto i fondi di investimento a ridurre i finanziamenti alle startup. Queste si sono trovate a corto di liquidità e hanno iniziato a prelevare massicce quantità di denaro dai depositi presso la SVB.
La banca, per compensare questi prelievi e disporre nuovamente di liquidità, ha iniziato a vendere i titoli di Stato americani su cui aveva investito, ma a causa dell’innalzamento dei tassi il prezzo di vendita era molto più basso di quello a cui li aveva acquistati.
La Silicon Valley Bank, perciò, l’8 marzo 2023 ha dovuto dichiarare perdite per circa 2 miliardi di dollari e ha annunciato l’intenzione di aprire un aumento di capitale per sopperire a quelle perdite. È a questo punto che ha iniziato a serpeggiare il panico sui mercati azionari e soprattutto fra i correntisti della SVB, scatenando l’effetto “profezia autoavverante”: per il timore di un fallimento della Silicon Valley Bank, le startup si sono affrettate a ritirare i propri soldi per spostarli in banche più sicure, ma proprio questo ha provocato definitivamente il crollo della Silicon Valley Bank. Come tutte le banche, infatti, la SVB non aveva la liquidità necessaria per far fronte alla contemporanea richiesta di prelievo di interi depositi da parte della maggior parte dei correntisti, e le perdite appena subite peggioravano la situazione.
Venerdì 10 marzo, quindi, è stato annunciato ufficialmente il fallimento dell’insolvente Silicon Valley Bank e la Federal Deposit Insurance Corporation ne ha preso il controllo.
Sebbene la SVB fosse una banca piuttosto “di nicchia”, il suo fallimento ha sollevato forti timori perché ha richiamato lo spettro della crisi finanziaria del 2008, innescata dall’effetto domino seguito alla liquidazione di Lehman Brothers. Immediatamente le Borse di tutto il mondo hanno registrato segni negativi, nonostante istituzioni ed esperti si siano affrettati a dare rassicurazioni sulle possibili conseguenze dell’accaduto. Nei giorni successivi, trascorso il panico iniziale, si è avviata una lenta risalita.
Il governo americano, infatti, è intervenuto subito insieme alla FED annunciando che tutti i depositi presso Svb sarebbero stati garantiti anche oltre la soglia dei 250.000 dollari assicurata per legge dalla Federal Deposit Insurance Corporation. La banca centrale ha inoltre messo a disposizione prestiti straordinari per le altre banche regionali che si sono trovate in difficoltà per l’aumento dei tassi e per le richieste di prelievo dei depositi, in modo da scongiurare il contagio all’intero sistema bancario.
Rispetto al 2008, oggi il contesto è quello di una maggiore preparazione a uno scenario simile, che si è già manifestata nella prontezza d’intervento del governo USA, e di un sistema di regolamentazioni e garanzie più solido: questo riduce l’esposizione al rischio di una crisi dell’intero sistema bancario mondiale.
Gli analisti finanziari sono rimasti di questa opinione anche dopo la crisi di Credit Suisse, che ha seguito di pochi giorni quella di SVB: la banca svizzera, in difficoltà da tempo, è stata messa in ginocchio dal rifiuto dei soci di maggioranza sauditi di partecipare a un nuovo aumento di capitale, generando immediatamente nervosismo fra mercati, investitori e correntisti, già in allerta per gli eventi americani.
La Banca centrale svizzera è intervenuta subito con un prestito di 50 miliardi di franchi svizzeri in favore di Credit Suisse, e insieme al governo elvetico ha indotto Ubs (Unione Banche Svizzere) a inglobare Credit Suisse per scongiurarne il fallimento.
Anche la crisi svizzera, quindi, è stata tamponata, e gli analisti concordano nel ritenere inesistente il rischio di un effetto domino sul sistema bancario mondiale, che risulta solido e molto meno indebitato rispetto al 2008. In questo contesto, più che una eventuale fragilità del sistema bancario, ha avuto un peso determinante la dinamica della psicologia delle masse, che ha visto prevalere reazioni non allineate ai dati della realtà.
Nonostante questo, non si può negare che il clima finanziario globale stia attraversando una fase di incertezza e che si iniziano a vedere gli effetti negativi dei rialzi dei tassi di interesse da parte di BCE e FED, che per attenuare l’inflazione espongono al rischio di recessione economica e di incidenti finanziari come quelli che abbiamo appena visto.
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