Negli ultimi mesi il dibattito pubblico ha visto spesso al centro il tema degli “extraprofitti delle banche”, che ha generato forti discussioni e anche tanti equivoci. All’origine c’è il decreto Asset con cui il 10 agosto 2023 il governo ha introdotto una tassa su quelli che sono ritenuti profitti in eccesso delle banche, con l’obiettivo di aumentare gli introiti delle casse dello Stato per sostenere i cittadini alle prese con i mutui a tasso variabile in continuo aumento.
Il governo ha definito “extraprofitti” l’incremento dei guadagni delle banche conseguente all’aumento dei tassi di interesse imposto dalla BCE nell’ultimo anno per affrontare l’inflazione: il costo del denaro e di conseguenza gli interessi dei mutui e dei prestiti sono aumentati, perciò le banche italiane nel primo semestre 2023 hanno registrato un aumento dei margini d’interesse superiore al 50% rispetto all’anno precedente.
Questo profitto viene considerato “extra” perché non corrisponde a un parallelo aumento dei rendimenti sui conti correnti, che negli ultimi dieci anni erano scesi a zero per i tassi negativi. Bisogna precisare, però, che non c’è un rapporto direttamente proporzionale tra tassi d’interesse e rendimenti dei normali conti correnti che, di per sé, non sono strumenti d’investimento.
Il governo ha definito la tassa sugli extraprofitti uno strumento di giustizia sociale, finalizzato a sostenere la spesa pubblica per rifinanziare il fondo dei mutui prima casa a tasso variabile per gli under 36, il fondo per i prestiti alle PMI e il taglio dell’IRPEF.
Il decreto prevede un prelievo una tantum del 40% sugli extraprofitti bancari, calcolati come differenza tra interessi attivi (guadagni dai prestiti) e interessi passivi (spese per gli interessi sui conti dei clienti). Questa tassa originariamente doveva essere applicata sul margine d’interesse del 2022 se supera almeno del 5% il margine del 2021 e sul margine del 2023 se supera di almeno il 10% quello del 2021.
La misura in origine prevedeva anche un tetto massimo della tassa sugli extraprofitti delle banche dello 0,1% del totale dell’attivo e del 25% del valore del patrimonio netto, per garantire la stabilità delle banche stesse.
La recente revisione del decreto in seguito al dialogo con le banche ha portato il tetto massimo allo 0,26% dell’importo complessivo dell’esposizione al rischio, non più del totale dell’attivo: sono stati esclusi i titoli di Stato. Inoltre la soglia del margine è stata portata al 10% anche per i profitti del 2022.
L’accoglienza della tassa sugli extraprofitti bancari è stata controversa. I sostenitori ne hanno sottolineato la valenza di redistribuzione sociale della ricchezza e di stimolo per l’economia. Gli oppositori hanno sottolineato il rischio di creare distorsioni di mercato e quindi di avere effetti negativi su famiglie e imprese a medio-lungo termine, per esempio rendendo troppo poco conveniente per le banche concedere prestiti. I mercati, infine, non hanno reagito bene all’annuncio e sono arrivate preoccupazioni anche dall’Europa.
Dopo la revisione della proposta iniziale, il dibattito si è mitigato, seppure non spento. La prospettiva, quindi, è quella di un intervento che potrebbe aiutare l’economia reale a riprendere slancio, attraverso il sostegno ai consumi, e riequilibrare la posizione delle banche nei confronti dei clienti; dall’altro lato, rimane il rischio di creare un precedente di tassazione arbitraria, di dare origine a nuovi costi scaricati sui clienti delle stessi o di provocare un effetto boomerang sull’economia riducendo gli investimenti.
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