Quando si parla di economia esistono diverse classificazioni utili a comprendere le caratteristiche del settore di riferimento. In questo articolo ci concentreremo sulla definizione di economia reale.
Anzitutto, però, è necessaria una precisazione storica. Prima delle rivoluzioni industriali esisteva un sistema economico su base agricola noto come economia di scambio o real-exchange economy, basato appunto sullo scambio di beni. La rivoluzione industriale ha invece visto l’avvento dell’economia monetaria: la moneta è da allora la condizione di base per la produzione e il commercio dei beni e lo scopo non è più lo scambio di beni stessi, bensì generare profitto.
Il termine “economia reale” oggi fa riferimento a tutte le realtà imprenditoriali che risultano attive nella produzione e distribuzione di beni e servizi, incrementando in questo modo la ricchezza del paese, alimentando la competizione e creando nuovi posti di lavoro. Nota anche come Main Street, fa parte dell’economia reale tutto ciò che riguarda la produzione in senso ampio, includendo fabbriche, merci, immobili, terreni, così come PMI o attività a conduzione familiare che forniscono beni e servizi, andando incontro alle richieste di mercato.
L’economia finanziaria, o Wall Street, si occupa invece di erogare prestazioni finanziarie (come azioni, obbligazioni, mutui, e così via) tramite banche, assicurazioni e società finanziarie. In quanto improduttiva, quindi, risulta esclusa dall’economia reale. Questo non significa, però, che i due ambiti non comunichino: la finanza fornisce, infatti, all’economia reale le risorse economiche necessarie al suo funzionamento, ottenendo in cambio dei rendimenti, ossia la remunerazione del capitale in forma di interesse.
Prendiamo come esempio il mutuo: la banca, che nella storia ha ricoperto il ruolo di punto di raccordo tra l’economia reale e quella finanziaria, eroga un prestito che andrà a finanziare un acquisto nell’ambito dell’economia reale, ossia l’abitazione stessa, realizzata grazie a progetto architettonico, manodopera edile e artigianale, selezione dei materiali, eccetera. Tutti questi elementi dell’economia reale vengono acquistati grazie alle rate del mutuo: il capitale prestato, maggiorato degli interessi, rientra poi nell’ambito dell’economia finanziaria.
Va da sé che entrambi i tipi di economia contribuiscono al PIL di un paese.
Anzitutto, investire nell’economia reale significa investire direttamente in imprese produttive, generalmente non quotate e ad oggi anche investitori non professionali possono investire in queste imprese grazie al crowdfunding.
L’equity crowdfunding, per esempio, consente anche a piccoli investitore di acquistare titoli di partecipazione di un’impresa, tramite una piattaforma online dedicata, come Opstart.it. Esso, in sostanza, consente a startup e PMI non quotate di raccogliere denaro da numerosi investitori, cedendo titoli di partecipazione al capitale sociale dell’azienda. In cambio, l’investitore diventa socio dell’azienda, acquisendo i diritti che ne derivano, sia patrimoniali che amministrativi. Oltre a diversificare il portafoglio, investendo in realtà di settori diversi (dalla green economy, al food, al real estate), questo tipo di investimento avviene senza intermediari e con notevoli agevolazioni fiscali. Una campagna di equity crowdfunding costituisce dunque un’occasione interessante per l’impresa, per i finanziatori, ma anche per l’economia in generale.
Al di là dei profitti, infatti, investire nell’economia reale costituisce un importante strumento per finanziare le imprese che formano la base produttiva del paese. I benefici non vanno quindi soltanto al singolo investitore, ma si riversano nel medio e nel lungo termine nell’economia reale stessa, contribuendo alla creazione e al mantenimento di nuovi posti di lavoro. Sostanzialmente, quindi, investendo si contribuisce alla crescita e al benessere economico del paese.
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