Negli anni, lo sviluppo tecnologico ha completamente trasformato il nostro rapporto con le abitudini da consumatori e potenziali acquirenti: comprare online biglietti per il cinema o un concerto, prenotare la cena in un ristorante o tramite app di delivery, confrontare i prezzi per l’affitto o l’acquisto di una casa. Le attività finanziarie non sono rimaste immuni alla rivoluzione informatica: ecco perché si parla di fintech, un settore che offre servizi finanziari servendosi della tecnologia digitale.
Cosa si intende con fintech? Fintech condensa in un’unica parola finance e technology, indicando quindi le influenze reciproche tra innovazioni digitali e settore finanziario. Si potrebbe rendere in italiano con “tecnofinanza”.
L’industria finanziaria ha quindi agito come ogni altro settore produttivo, allineandosi agli sviluppi tecnologici e fornendo ai suoi utenti servizi sempre più accessibili. Un esempio su tutti: il bonifico. Oggi trasferire denaro, grazie alle app di mobile banking, è semplicissimo e porta via qualche minuto. Bastano un PC o uno smartphone e nessuna intermediazione umana. Un tempo, invece, l’operazione non era così semplice e veloce: bisognava recarsi in filiale, comunicare gli estremi del pagamento alla propria banca e ricevere poi l’approvazione da parte della banca ricevente.
I vantaggi dei servizi fintech sono infatti moltissimi se confrontati per esempio con l’offerta della finanza e dei servizi bancari tradizionali. La digitalizzazione è infatti vantaggiosa in termini di tempo, accessibilità e personalizzazione: cioè conviene, è facile da usare e si può declinare in base alle proprie esigenze. Il fintech non riguarda quindi solo investimenti o operazioni di aziende e imprese, ma anche i privati, nella veste di clienti istituzionali o consumatori.
Da tempo i servizi finanziari e bancari si appoggiano a tecnologie digitali, che snelliscono il servizio e fanno risparmiare tempo sia alla banca che al cliente: il primo esempio di fintech fu infatti l’introduzione delle carte di credito negli anni ‘50, seguita poi dall’introduzione, negli anni ‘70, di sportelli ATM per prelevare denaro.
L’altro grande fenomeno che ha trasformato la tecnologia (e, con essa, il fintech) è stato internet, specie dall’introduzione di reti veloci come LTE e 3G e con l’avvento di smartphone e tablet. Tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo utilizzato un servizio fintech: per esempio, abbiamo gestito il budget familiare dall’app bancaria, effettuato acquisti da mobile o, perché no, partecipato a una campagna di crowdfunding.
Il crowdfunding (da crowd, “folla” e funding, “finanziamento”) si riferisce a un finanziamento collettivo o collaborativo: persone o enti, tramite piattaforme web, sostengono un progetto o una campagna tramite donazioni. In cambio, ricevono poi delle ricompense concrete, o anche simboliche come nel caso del modello delle donazioni a cause non profit.
Esistono differenti tipologie di crowdfunding.
L’equity crowdfunding, anzitutto, viene utilizzato da PMI o startup non quotate che offrono una partecipazione al proprio capitale sociale. Acquistando di fatto quote o azioni (equity), i finanziatori diventano soci d’impresa a tutti gli effetti. L’equity crowdfunding consente, cioè, di investire in piccole e medie imprese ad alto potenziale di crescita.
In Italia, questa è per esempio la mission della società Opstart che, seguendo il modello di equity crowdfunding, propone agli investitori realtà imprenditoriali innovative, aiutando startup e piccole o medie imprese a raccogliere i capitali necessari al loro sviluppo.
Trattandosi di una tipologia di finanziamento ad alto rischio, Opstart sceglie le imprese e le startup in base a rigidi criteri di selezione, per presentare sul proprio portale solo quelle ritenute ad alto potenziale. Infine, Opstart aggiorna imprese e investitori anche a raccolta fondi conclusa, con una reportistica semestrale utile a monitorare l’andamento dell’azienda anche successivamente alla raccolta.
Il debt crowdfunding, poi, (o finanziamento collettivo basato sul debito) consente di raccogliere capitali tramite il collocamento di titoli obbligazionari, bond e minibond presso un platea di investitori professionali e alcune particolari categorie di investitori retail. In una campagna di debt crowdfunding, gli investitori finanziano un’azienda acquistando i titoli di debito emessi tramite un apposito portale online, aspettandosi di ricevere la restituzione del capitale maggiorato degli interessi.
A questo proposito, l’anno scorso Opstart ha inaugurato Crowdbond, piattaforma che consente agli iscritti di investire in cambiali finanziarie, prestiti obbligazionari e titoli di debito emessi da piccole e medie imprese in crescita.
Il lending crowdfunding, infine, (o finanziamento collettivo su prestito) consente il prestito tra privati, noto anche come prestito peer to peer. Questo modello permette a un privato di prestare denaro senza l’intermediazione della banca, ottenendo un tasso di interesse concordato con la controparte; negli ultimi anni ha preso sempre più piede, soprattutto come canale finanziario alternativo per le imprese.
Per questo, ulteriore tassello dell’hub Crowdbase di Opstart sarà il portale Crowdlender, nuova divisione dedicata proprio al lending crowdfunding che è stato inaugurato nelle scorse settimane.
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